“Il collezionista di conchiglie”
di Anthony Doerr

Luoghi in cui qualcosa sta per cambiare

di / 19 ottobre 2017

Prima di vincere il Premio Pulitzer per la narrativa con Tutta la luce che non vediamo, Anthony Doerr aveva scritto otto racconti che spaziano dalla remota isola kenyota di Lamu alle umide foreste scandinave alla solitudine dei piccoli centri americani, raccolti in Il collezionista di conchiglie (Rizzoli, 2017).

Ogni storia alterna l’assoluta apparente ordinarietà dei protagonisti a un evento spiazzante che sembra arrivare proprio nel momento in cui Doerr ha deciso di occuparsi di quelle vite. I personaggi che racconta non sarebbero gli stessi senza la sua voce che li descrive, senza quel qualcosa di strano, doloroso o indefinito che giunge a stravolgere, talvolta in modo sottile e impercettibile, quasi banale, l’esistenza. Ogni evento ha uno scenario diverso e tutto per sé, non c’è continuità geografica tra i racconti né tra gli interpreti di quelle vite. Ciò che sembra tenerli uniti è l’ambientazione in una natura che appare quotidiana o estranea ai protagonisti, ma ugualmente vicina a Doerr, che si tratti della boscaglia africana o di un anonimo paesino statunitense senza nome o di un ruscello, di un mare intero.

E poi, a legare ogni storia, c’è la voce precisa e attenta dell’autore, svuotata di superfluo, decisa e esatta, talvolta al limite del distaccato. Riesce a far seguire con sorpresa e desiderio di arrivare fino in fondo la grazia e la capacità non cercata di un vecchio cieco in grado di fare miracoli, così come una gara di pesca in terre sconosciute; l’amore estivo di un’adolescente per un ragazzo marino e la passione di un cacciatore, in un inverno di ghiaccio, verso una donna dai poteri indecifrabile.

«Lo vuoi sapere cosa sogna? gli chiese. La voce riecheggiò su per tutto l’albero e si riversò fuori dalle cime tosate dei rami cavi. Il cacciatore estrasse il coltello dal giaccone. L’estate, riecheggiò la voce di lei. More, trote. I fianchi che strusciano contro i ciottoli del fiume».

I racconti più toccanti sono quelli di viaggio, di chi attraversa oceani ignoti sperando di poter trovare una nuova vita in quello che non si conosce, di chi è costretto a farlo dalla guerra, da quello che capita. Sono percorsi spesso senza lieto fine o a volte, semplicemente, senza una vera e propria fine. Come quello di Joseph, in fuga dalla Liberia degli anni ’90, che incontra grandi orrori e piccoli equivoci per approdare in un paese che non lo capisce e che lui non comprende, in cui cerca qualcosa o qualcuno che sappia essere ancora buono con lui, come lo era sua madre e il loro orto prima della guerra.

«C’era una parola, nel dizionario di sua madre: Inconsolabile: che non può essere consolato; avvilito, disperato, dal cuore infranto. C’è un oceano tra lui e la Liberia e ancora non trova salvezza. Il vento spinge al di sopra degli alberi e davanti alle sue finestre cortine di fumo nero-giallastro. Sa di olio, come una frittura di carne andata a male. Affonda la faccia nel cuscino per evitare di respirarlo».

E come la storia di un uomo e di una donna che si incontrano per caso e credono di innamorarsi e di voler iniziare qualcosa insieme e altrove. Dove però non si ritrovano, non si riconoscono, dove lei avrebbe bisogno della natura che ha lasciato, e lui della lei che aveva trovato.

«Forse, pensò Ward, mi verranno le parole. Forse quando lei uscirà da qui saprò esattamente che cosa dire. Forse dirò Mi dispiace, o Capisco, o Grazie per le foto. Forse guarderemo insieme la luce che allaga le colline».

 

(Anthony Doerr, Il collezionista di conchiglie, trad. Daniele A. Gewurz e Isabella Zani, Rizzoli, pp. 276, euro 19)
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LA CRITICA

Una collezione di racconti che attraversa paesaggi e vite semplici ed eccezionali.

VOTO

6,5/10

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