Immergersi nelle storie

“Dimentica di respirare” di Kareen De Martin Pinter

di / 5 giugno 2018

Copertina di Dimentica di respirare di Kereen De Martin Pinter

Impossibile parlate di un romanzo Tunué senza prendere in considerazione l’anima dell’intera collana. Il lavoro di selezione di Vanni Santoni predilige le storie con una lingua solida, ricercata, lontana dalla medietà comunicativa – che potremmo definire benissimo appiattimento – di molte altre realtà editoriali. La lingua dei romanzi Tunué è messa al servizio dell’atmosfera, di un complesso immaginario che si origina dalla precisione con cui sono curate e raccontate queste storie. Non si tratta però di uniformare la voce di ogni singolo narratore alla visione del curatore, anzi, di tirare fuori dalle ossessione di ciascun autore le potenzialità della visione che covano. Per questo, pur mantenendo un alto standard di qualità, i romanzi Tunué sono molto diversi l’uno dall’altro: Orazio Labbate modella la sua personale ricerca nel gotico siciliano, Francesco D’Isa si pone quesiti filosofici attraverso intricati paradossi, Luciano Funetta suona la prima nota di una sinfonia immaginifica che sappiamo avrà lunga fortuna. Così tutti gli altri si trovano a combattere con la propria storia, a forgiarla nella fucina della lingua.

È quello che fa anche Kareen De Martin Pinter, bolzanina al suo secondo romanzo, che con Dimentica di respirare (2018) si immerge – è il caso di usare proprio questo verbo – in un storia in cui il vero protagonista è il mare. Il mare è il luogo della sfida, un ambiente in cui misurare le proprie capacità, perché si è da soli, accerchiati dalla massa d’acqua intorno a noi, e che si chiude sopra di noi quando ci immergiamo. Il mare è un luogo di solitudine, ma può anche essere una metafora del’utero, un incavo materno in cui sentire per la prima volta – con chiarezza – il proprio corpo. Si parla di sfida perché l’autrice ripercorre la vita di Giuliano, bambino con la passione per l’apnea, che in giovane età conosce Maurizio, colui che diventerà suo allenatore, e che lo seguirà nella formazione agonistica. Giuliano diventa grande e partecipe alle competizioni, le vince, batte record su record, da solo e immerso nelle profondità blu dei mari di mezzo mondo. Giuliano è solo con il suo corpo, mentre si immerge non sente niente, se non il rimbombo del suo cuore. E un giorno quel corpo che tanto gli ha dato – che lui ha portato al limite, facendolo diventare il tempio delle sue vittorie – inizia a perdere colpi, qualcosa si rompe e Giuliano deve affrontare la malattia. Per la prima volta partecipa a una gara in cui sa di poter perdere.

Kareen De Martin Pinter è una narratrice minuziosa: pagina dopo pagina seguiamo la crescita di Giuliano, i suoi rapporti interpersonali, la scoperta del mare, il venire a patti con i limiti del proprio corpo, il superarli, per rilanciare le sfide, modificare i parametri, essere in competizione con se stessi e con l’enormità oceanica. E l’autrice ci dà modo di entrare nelle psicologia dell’agonista, in uno sport particolare, in cui non c’è partita, non c’è scontro con l’altro, ma solo con se stessi, immersi in un elemento naturale, senza nessun campo da gioco che lo delimiti. L’unico fattore da tenere in conto è il tempo: quello passato sott’acqua in apnea, quello trascorso ad allenarsi, e poi quello degli anni che passano, del corpo che si fa più pesante, delle giornate sacrificate mentre le persone attraversano la vita, e si avvicinano al campione, per poi allontanarsi.

Alla tematica della sfida – e all’ambivalenza dell’elemento acquatico – si aggiunge la riflessione sul corpo. Sin dall’incipit ci mettiamo in connessione con questo elemento: «Il corpo si alleggeriva, si frammentava, sembrava volatilizzarsi pezzo dopo pezzo. Prima i piedi, poi le gambe, nelle orecchie il rumore di migliaia di minuscole bolle che scivolavano via. Iniziavo a sentire l’aria pesarmi addosso, mi soffiava in faccia crepandomi le labbra, infilandosi in bocca e asciugando le mucose delle guance, la gola. Masticavo sale». La vastità del mare, la piccolezza delle propri polmoni: l’autrice mette a confronto l’individuo e il mondo tramite la differenza di stato fra natura e uomo. L’acqua è una massa sempre in movimento, presente dall’inizio dei tempi. L’uomo subisce invece un cambiamento che lo porta alla caducità, che predispone l’incontro con la malattia, perché la caratteristica dell’uomo è il suo essere transitorio.

Un romanzo che lega bene la tematica del corpo all’orizzonte marino è Sirene di Laura Pugno: si tratta di una storia fantascientifica che vede – fra i personaggi – proprio le sirene: corpi ibridi a confronto con l’imprevedibilità del mare (e in quel caso anche degli essere umani che le sfruttano). Possiamo dire che la narrazione di Kareen De Martin Pinter si pone come una controparte realistica di quel romanzo, nella prosa dell’autrice si agitano le stesse inquietudini e la stessa resa delicata della solitudine, così bene messe in metafora dalla Pugno.

Dimentica di respirare è un romanzo completo: elaborato nello stile, esauriente nell’immaginario che evoca, sottile ed evanescente come la nebbia che ricopre la costa di mattina, mentre Giuliano va ad allenarsi per la prossima gara. La voce di questa autrice accenna una psicologia complessa, suggerisce delle riflessioni senza doverle esplicitare sulla pagina, e poi si dirige verso altri lidi, come una risacca che lascia dietro di sé qualche strano oggetto. Noi lo raccogliamo e lo mettiamo in tasca, forse un giorno ci servirà; allo stesso modo registriamo le sensazioni cangianti che abbiamo provato durante la lettura, forse un giorno ci serviranno.

(Kareen De Martin Pinter, Dimentica di respirare, Tunué, 2018, p. 114, 14 euro)
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LA CRITICA

Un romanzo che esplora la tematica del corpo attraverso l’elemento acquatico, una storia raccontata in maniera delicata.

VOTO

7/10

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