Le geografie umane di David Szalay

Su “Turbolenza” di David Szalay

di / 18 maggio 2020

Copertina di Turbolenza di Szalay

Voli intercontinentali, trasferte lampo, coincidenze, scali. Dopo Tutto quello che è un uomo, con Turbolenza (Adelphi, 2020) David Szalay torna a indagare la geografia esistenziale attraverso alcuni dei temi che sembrano ossessionarlo maggiormente: la globalizzazione, i rapporti tra persone in un mondo all’apparenza senza confini né limiti, il jet lag psicologico dell’individuo contemporaneo.

Turbolenza è composto da dodici racconti brevissimi, ognuno dei quali monitora lo spostamento di un personaggio da una città all’altra, rigorosamente per via aerea. Londra-Madrid, Madrid-Dakar, Dakar-San Paolo, San Paolo-Toronto. La struttura circolare progettata dall’autore allaccia il protagonista di un racconto a quello successivo in un frenetico passaggio di testimone che trova la sua chiusura nell’ultimo capitolo, quando un uomo malato di cancro torna nuovamente in gioco dopo essere apparso nelle prime pagine.

Ciò che interessa Szalay – scrittore di passaporto canadese ma dalle evidenti origini ungheresi, finalista con il suo precedente libro al Man Booker Prize – è documentare la reazione di uomini e donne di fronte alla loro “turbolenza”, quell’evento, minimo o cruciale, nel quale un individuo vede vacillare le proprie certezze: «In un modo o nell’altro era sempre un momento di profondo stupore, quando il muso si sollevava e l’aereo si staccava da terra – o meglio, quando la terra dava l’idea di precipitare sotto di lei».

«Era uno di quegli avvenimenti, pensò, che fanno di noi ciò che siamo, per noi stessi e per gli altri. Cose che sembrano succedere così, senza un motivo, e invece poi restano lì per sempre, e a poco a poco ci accorgiamo che ci hanno segnati, che niente sarà mai più come prima».

Cosa ci potrebbe essere di più straniante dello svegliarsi in una camera d’albergo di Dakar per poi concludere la serata nell’appartamento di una donna appena conosciuta su Tinder a San Paolo? Eppure, i personaggi di Szalay apparecchiano la loro quotidianità su questa superficie irregolare, convinti di poter amministrare, anche e soprattutto grazie al supporto di una tecnologia onnipresente e oramai irrinunciabile, la coesistenza di più vite in simultanea.

In certi casi, questa situazione di costante instabilità genera una tensione trattenuta, pronta a esplodere alla prima turbolenza, in altri, un senso di alienazione e di disorientamento sfibra i rapporti più stretti, riducendoli a un tepido scambio di battute sulla qualità del volo o sulla lunghezza del viaggio. In molte occasioni si osserva come sia «facile, oggigiorno, comprare un biglietto aereo, viaggiare», più difficile appare tornare sulla terra ferma, incontrare dopo molti mesi un fratello al quale chiedere indietro i soldi di un prestito, un padre malato al quale annunciare il proprio matrimonio con un rifugiato siriano, una figlia che ha appena partorito un bambino cieco.

Turbolenze che mettono a dura prova l’integrità degli individui, il cui primo pensiero è quasi sempre lo stesso, prendere di nuovo un aereo, scappare: «Avvertì la propria inadeguatezza di essere umano, e la cosa che desiderò maggiormente fu andarsene».

Per quanto la cifra letteraria sia la medesima di Tutto quello che è un uomo, in Turbolenza Szalay pare soffrire la struttura da lui stesso ideata (il progetto nasce in origine come podcast per la BBC). Il passaggio di testimone tra personaggi rimane un espediente, peraltro già molto utilizzato, mentre la brevità dei racconti lascia spesso un’impressione di incompiutezza.

Ciononostante, Szalay conferma la sua grande capacità di raccontare una storia per piccoli frammenti, catturando, attraverso gesti, silenzi, dialoghi, la pressione esercitata dalla società globale sulla vita dei singoli, quasi a ricordarci, come recita una citazione di Kennedy incorniciata nel bagno di uno dei protagonisti, che «ciò che ci unisce è che abitiamo tutti questo piccolo pianeta, respiriamo tutti la stessa aria, abbiamo tutti a cuore il futuro dei nostri figli. E siamo tutti mortali».

 

(David Szalay, Turbolenza, Adelphi, 2020, trad. di Anna Rusconi, 128 pp., euro 15, articolo di Martin Hofer)

 

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