Sinfonie latine nel barrio dei chicanos

“La casa di Mango Street” di Sandra Cisneros

di / 5 ottobre 2021

Copertina di La casa di Mango Street di Cisneros

Pubblicato per la prima volta nel 1984 e riproposto quest’estate dalla casa editrice La Nuova Frontiera nella bella traduzione di Riccardo Duranti, La casa di Mango Street non potrebbe presentarsi come più attuale. L’autrice, Sandra Cisneros, ci ha regalato infatti uno dei romanzi più intensi sulla cultura dei chicanos, un termine dalle forti connotazioni identitarie, usato per definire principalmente i messicani emigrati durante gli anni ’60 e ’70 verso la frontiera degli Stati Uniti, in particolare attorno alla zona di Chicago, nell’Illinois.

Esperanza è un’adolescente trasferitasi da poco assieme alla sua famiglia in un nuovo quartiere della città. La casa, situata al numero 4006 di Mango Street, è una costruzione «piccola, rossa, con una scala stretta davanti e le finestre così piccole che sembrano trattenere il fiato»; la stessa che vediamo in copertina, un edificio anonimo in mattoni su uno sfondo giallo acceso, la ragazza che guarda fuori alla finestra, appoggiando la propria malinconia su un gomito, così come faceva prima di lei la sua bisnonna, da cui ha preso il nome che «significa tristezza, significa attesa».

In un riuscitissimo gioco stilistico, Cisneros simula lo sguardo infantile di una ragazza costretta a vivere in un mondo che rischia di farla soffocare, descrivendo pagina dopo pagina le difficoltà di una realtà cruda, a volte spietata, che spesso lei stessa non riesce a comprendere fino in fondo data la giovane età. L’unica possibilità d’evasione è quella fornita dall’immaginazione: un’immaginazione lucente che è capace di trasformare qualsiasi oggetto (come un paio di scarpe col tacco o una vecchia bici usata) in un feticcio dalle proprietà magiche, in grado di portare i protagonisti di queste storie lontano, verso orizzonti differenti. Il desiderio di fuga è infatti un tema costante, assieme alla speranza mai sopita di lasciarsi tutto alle spalle e andare via, ricominciando una nuova vita.

La casa di Mango Street è un romanzo che parla a tutte le donne intrappolate in qualsiasi ruolo di genere. Le intenzioni risultano chiare fin dall’esergo dove, significativamente in spagnolo, a ricordare le radici messicane dei chicanos, compare la dedica A las mujeres, alle donne: abbandonate o lasciate sole in situazioni complicate dove cavarsela è difficile, si ergono al centro di queste storie, vittime più che protagoniste silenziose. Temi quali quelli di genere, della violenza domestica o dell’abuso sessuale esplodono sulla pagina, evidenziando le contraddizioni esistenti all’interno di una comunità dove le parti e i compiti vengono prestabiliti in base al sesso di nascita. L’atmosfera opprimente del patriarcato aleggia ininterrotta lungo tutto l’arco narrativo, una gabbia invisibile che intrappola senza via di scampo nella sua rete fatta di regole rigide e ataviche.

Esperanza racconta la sua storia con uno stile innocente, a volte fintamente immaturo, filtrato attraverso gli occhi di una persona che non è ancora capace di intuire appieno le dinamiche che la circondano, un caleidoscopio di quadri spesso solo accennati o a malapena sussurrati, di cui anch’ella si sente attrice protagonista suo malgrado: c’è Rosa Varga, abbandonata dal marito assieme ai suoi figli che cerca di sopravvivere da sola con scarsi risultati, Rafaela che affacciata alla finestra sogna di avere i capelli come quelli di Raperonzolo, e c’è Sally che sorpresa un giorno a parlare con un ragazzo ha fatto uscire pazzo il padre, facendogli dimenticare «chi era tra la fibbia e la cintura».

Sandra Cisneros descrive un mondo dei sobborghi, piccoli angoli di umanità dove regna l’ingiustizia: i chicanos vivono alla giornata quasi ghettizzati in squallidi quartieri, indifferenti alla maggior parte della gente, che preferisce evitarli («Quelli che non sanno un accidente entrano nel nostro quartiere spaventati. Pensano che siamo pericolosi. Pensano che li attaccheremo con coltelli scintillanti»). A questo proposito, in una bella intervista rilasciata per i venticinque anni dalla prima pubblicazione del romanzo e recentemente tradotta sul Corriere della Sera, parlando della sua esperienza personale l’autrice ha dichiarato: «La gente di cui parlavo in gran parte esisteva; la prendevo di qua e di là, da ora e da allora […] Di solito, quando pensavo che qualcuno che stavo creando era frutto della mia immaginazione, veniva fuori che stavo ricordando una persona che avevo dimenticato o che mi stava così vicina da non vederla […] Non abito più a Chicago, ma Chicago continua ad abitare in me. Ho storie su Chicago che devo ancora scrivere. Finché quelle storie scalceranno in me, Chicago sarà sempre casa».

La casa di Mango Street rimane ancora oggi un romanzo molto attuale, tanto che il tempo non sembra essere passato dal 1984; il sentimento di spaesamento che prova Esperanza, il non riuscire a sentirsi mai completamente a casa, né libera o se stessa, a suo agio in uno spazio percepito come ostile, è un sentimento talmente comune da travalicare qualsiasi genere, razza o religione. Alla fine sembra quasi di sentirsi un po’ come Marin, la ragazza emigrata da Puerto Rico, che «alla luce del lampione, balla da sola e canta sempre la stessa canzone, dovunque sia. […] Aspetta che si fermi una macchina, che cada una stella, che qualcuno le cambi la vita».

 

(Sandra Cisneros, La casa di Mango Street, trad. di Riccardo Duranti, La Nuova Frontiera, 2021, 192 pp., euro 15, articolo di Davide Tamburrini)

 

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