Tra muri e soffitti

“Niente di vero” di Veronica Raimo

di / 14 marzo 2022

Copertina di Niente di vero di Raimo

«Mio fratello muore tante volte al mese». Di rado si leggono incipit che racchiudono in sé già l’intera essenza del romanzo, ed è questo il caso di Niente di vero (Einaudi, 2022), il nuovo romanzo di Veronica Raimo. È un’avvertenza per il lettore: in questo libro si muore e si rinasce tante volte a pagina.

Seguendo le linee di un memoir, Raimo ripercorre la sua vita dall’infanzia a oggi. Non lo fa cronologicamente ma attraverso balzi e tematiche in un andirivieni di tempi e relazioni – familiari, sentimentali, letterarie. L’ordine non è casuale, poiché il grosso del libro indaga la sua famiglia, che fin troppo facilmente potremmo definire disfunzionale ma che in sé ha soprattutto qualcosa di distopico. A partire dalla madre, Francesca, donna ansiosa, capace come un’agente della Stasi di trovare la figlia a casa di un’amica, senza che lei le avesse detto dove si trovava. Eppure qualcuno attonito, durante la festa, avvisa che «c’è Francesca al telefono», tanto da farlo diventare un tormentone, visto che da quel momento lei e le sue amiche useranno quella frase come un codice segreto per sviare situazioni scomode.

Non è da meno il padre, uomo ossessivo, che con il suo «Siamo al paradosso», alla Pazzaglia, racchiude e chiude in un cul de sac la gran parte dei discorsi. O il fratello, il genio della famiglia, che davanti a richieste d’aiuto di Veronica, o anche a semplici chiarimenti, cita parabole evangeliche o oscuri passaggi letterari.

In questa distopia la protagonista si adegua, cerca di emergere o tenta almeno un’appropriazione del sé. Operazione nient’affatto semplice. Così sono ironia e umorismo a prendere il sopravvento e a caratterizzare il registro e la voce narrativa. Del resto, come salvarsi dalla madre che, seppur onnipresente e iperprotettiva, finisce per non riconoscere fisicamente la figlia tanto da scambiarla con emerite sconosciute in strada? O come eludere l’ossessività del padre che disinfetta qualsiasi cosa con Scottex e alcol sempre a portata di mano? O come confrontarsi col fratello scrittore di successo che appena viene a sapere che Veronica sta scrivendo un romanzo sulla loro famiglia, l’avvisa che anche lui sta facendo altrettanto?

Niente di vero è un libro feroce, che mentre spinge il lettore a una risata, poco dopo lo prende per mano e con lui salta in un crepaccio di cui non si vede il fondo. In certi momenti è un romanzo asfittico, che toglie l’aria, con il soffitto che incombe, con i tanti muri che il padre adora costruire per trasformare il loro appartamento di sessanta metri quadri in uno con più stanze di Versailles, e che Veronica Raimo riproduce attraverso i corridoi delle sue narrazioni.

Quello che manca, forse, sono proprio i muri perimetrali di quell’appartamento, si resta spesso sospesi nel vuoto e in quel labirinto non si trova la via d’uscita, la porta che conduca fuori. Forse questo diventa il limite del romanzo. Ci si aspetta che a un certo punto la protagonista riesca a tirar su quei muri esterni e magari sfondi il soffitto per saltare fuori, alla luce. Invece non accade mai e si resta sul bordo, come lei ferma su una scogliera, dato che non sa nuotare – per colpa dell’ansia della madre e dei «e se poi anneghi?» del padre: meglio restare a casa, ad annoiarsi e a leggere libri.

Tuttavia la sapienza e la scrittura di Veronica Raimo leniscono e attenuano questa mancanza, questo salto che non arriva, che qualche volta rischia di lasciarla sul palco da stand-up comedian, nelle vesti di una fantastica signora Maisel italiana e di posticcia formazione cattolica. (Tra le scene più belle c’è proprio quella in cui il fratello si converte al cattolicesimo e si fa battezzare, al che la protagonista non vuole essere da meno e si battezza anche lei. Ma non ha idea del perché lo stia facendo, né tantomeno di cosa implichi la fede, salvo rendersi conto di essersi presa una cotta per il prete.)

Poi, mentre si progredisce nella lettura, subentra un interrogativo: perché quel titolo? Cosa c’è di vero o di non vero? Raimo lo svela tra una scena e l’altra. Lo spiega nel frangente in cui è alle prese con la ricerca del suo tempo e del suo passato, del fattore psicologico e di quello fisiologico, in poche parole è immersa nella memoria bergsoniana. È qui che si interroga sul limite tra fiction e realtà. Un quesito che oggi dilaga, mentre siamo alle prese con una sfilza infinita di romanzi memoir e/o autobiografici e/o autofiction.

Veronica Raimo non si sottrae, prova a fare ordine, visto che «la maggior parte dei ricordi ci abbandona senza che nemmeno ce ne accorgiamo; per quanto riguarda i restanti, siamo noi a rifilarli di nascosto, a spacciarli in giro, a promuoverli con zelo, venditori porta a porta, imbonitori in cerca di qualcuno da abbindolare che si abboni alla nostra storia. Scontata, a metà prezzo». È allora che la scrittrice/scrittore bluffa, come la stessa Veronica faceva da bambina con suo fratello quando giocavano a dadi, in un gioco quantistico del lancio senza alcun tipo di competizione, una semplice constatazione dei numeri che uscivano, in cui lei sentiva comunque il bisogno di barare. Del resto «le velleità di solito servono a ingannare se stessi, mentre io volevo ingannare gli altri».
L’inganno è riuscito quasi del tutto. Resta il soffitto a fare da barriera, a non permettere del tutto di spiccare il volo.

 

(Veronica Raimo, Niente di vero, Einaudi, 2022, 176 pp., euro 18, articolo di Fernando Coratelli)

 

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