Marcel Proust fra autofiction e allegorismo animale

I racconti

di / 23 giugno 2022

copertina di Proust, Corrispondente misterioso

Il discorso sulle forme della narrativa breve comprende le molteplici intersezioni tra finzione narrativa e dato autobiografico, il cui annoso rapporto non solo investe svariate componenti di una stessa opera ma può anche originare scritti di generi differenti: l’approdo postmoderno, ad esempio, consiste nell’autofiction, di cui Troppi paradisi (Einaudi, 2006) di Walter Siti costituisce celeberrimo esempio.

Per indagarne i molteplici aspetti è utile il caso dei racconti, per lungo tempo rimasti inediti, di Marcel Proust. Dalla prima raccolta narrativa, Les Plaisirs et les Jours (1896), l’autore venticinquenne esclude infatti alcuni scritti: L’Indifférent (1896), novella sulla «passione dell’indifferenza» (come nel saggio prefatorio di G. Agamben, Introduzione a M. Proust, L’indifferente, Einaudi, 1987, pp. 7-22) e nove testi brevi poi editi postumi (Le Mystérieux Correspondant et autres nouvelles inédites, Éditions de Fallois, 2019; in Italia per Garzanti, 2021).

Di questi brani (quattro racconti, un apologo, un monologo, un dialogo dei morti e due frammenti che molto contribuiscono a un più preciso inquadramento del profilo proustiano grazie a frasi o interi segmenti poi confluiti nella Recherche, come ad esempio l’ode dedicata ai giovanotti sportivi di Cabourg cui forse s’ispirano le jeunes filles en fleurs, o a citazioni di autori così presenti anche negli scritti epistolari da autorizzare un ampliamento del numero di avant-textes, letterari e non) interessa qui il dramma messo in scena di volta in volta: la dimensione individuale dei singoli personaggi riflette infatti la sofferta condizione dell’autore, scisso nel rapporto e con la morale cristiana (la cui tradizione omiletica questi testi a volte parodiano) e con la propria omosessualità (il confronto con l’epistolario rivela talora corrispondenze biografiche con i personaggi dei racconti).

 

Il corrispondente misterioso: l’enigma del sé

Chiara esemplificazione di questo processo in cui si alternano rispecchiamento e camuffamento di sé è rintracciabile nelle dinamiche del racconto Le Mystérieux Correspondant. La storia s’avvia la sera in cui, già turbata dopo aver appreso della singolare «malattia di languore» (p. 45) che affligge la cara amica Christiane (eloquente scelta onomastica), Françoise si allarma ulteriormente a causa di una lettera anonima: «Signora, è da tempo che vi amo ma non posso né dirvelo né non dirvelo […]. Nella mia disperazione e nella mia frenesia scrivo questa lettera per calmarmi […] Il pensiero che potrebbe essere possibile e che è impossibile mi brucia in eguale misura» (p. 46). Alla prima missiva ne seguono altre, nelle quali lo sconosciuto si dichiara pronto a farle visita volendo approfittare dell’assenza di suo marito, in viaggio per affari. La donna, decisa a fronteggiare per conto proprio la minaccia di quella profferta, non ne parla ad anima viva, ma per non rimanere completamente sola in casa invita a cena l’amica Christiane, dopo aver provveduto a serrare ogni ingresso. A sera inoltrata però Françoise rinviene un biglietto sul tavolo del salotto (p. 47): «Vi supplico. Permettete che vi veda ma se lo ordinate me ne andrò subito». La presenza dell’amica non ha dunque impedito al misterioso corteggiatore di entrare, non visto, nell’abitazione. La replica, vergata su un secondo biglietto che repentinamente Françoise sostituisce al primo, appuntandolo sullo stesso tavolo («Andatevene subito ve le ordino», p. 48), sembra utile, in termini narrativi, ad arginare l’insistenza dello sconosciuto, ma si rivela in realtà chiave di volta per la risoluzione dell’enigma. Qualche tempo dopo, infatti, Françoise è informata di un grave peggioramento della malattia di Christiane e le fa visita, scoprendo fortuitamente che l’aggravarsi delle sue condizioni di salute dipende dal dolore provocatole dal secco rifiuto ricevuto con quel secondo biglietto: è così smascherato il vero nome del(la) corteggiatore(-trice). Compreso l’amore nutrito dall’amica, Françoise consulta un sacerdote al quale pure nasconde l’identità dell’innamorata perpetrando volontariamente l’equivoco di genere (p. 52): «Padre, se un uomo morisse d’amore per una donna, […], se soltanto l’amore di quella donna potesse salvarlo da una morte imminente e certa, lei sarebbe scusabile se glielo offrisse?».

Il clericale, personaggio che nella cornice narrativa agisce in osservanza della morale cristiana, condanna senza appello l’ipotesi di adulterio (p. 53): «[Quella] è una bella morte e agire come dite voi significherebbe precludere il regno di Dio a chi l’ha meritato trionfando […] sulla propria passione».

Proclamata la vera natura del rapporto tra Françoise e Christiane (nomi che Proust spesso confonde e inverte nei manoscritti, sì suggerendo un’ideale sovrapposizione dei loro ruoli ma anche minando l’attendibilità del narratore), l’intreccio precipita impietoso (p. 53): «Vennero a chiamare Françoise e il sacerdote, Christiane stava morendo, chiedeva la confessione e l’assoluzione. Il giorno dopo Christiane era morta. Françoise non ricevette mai più lettere dello Sconosciuto».

 

 

Il corrispondente misterioso: zoomorfismo autobiografico

Intuibile precedente letterario del racconto in questione è costituito da The Purloined Letter (1844) di Edgar Allan Poe, che Proust elogia nel proprio epistolario e al cui modello sembra rifarsi anche nella raffigurazione allegorica del noto gatto-scoiattolo bianco (variazione iconografica del più tipico animale da bestiario). L’immagine è figura d’amore, e cioè della suddetta «malattia di languore», per il protagonista-narratore dell’apologo La conscience de l’aimer (pp. 100-1):

«Non ero più triste, non ero più solo, e la mia felicità era tanto più profonda perché segreta […]. L’indifferenza e la noia che pervadevano ogni cosa intorno a me erano dissipate da quando vi si appollaiava sopra con grande eleganza […] il bianco scoiattolo-gatto che mi seguiva ovunque. Caro amabile animale silenzioso, quanto mi avete tenuto compagnia durante questa vita che avete misteriosamente malinconicamente adornato».

L’eco contrastiva dal verso onomatopeico di The Raven (1845) di Poe («Quoth the Raven “Nevermore”») risulta dopotutto evidente già nell’incipit (p. 99): «Mai mai mi ripetevo queste parole che lei mi aveva detto e che con il silenzio spaventoso dell’attesa che le aveva precedute e della disperazione che le aveva seguite per la prima volta mi avevano fatto sentire il mio cuore che pronunciava […] le parole sempre sempre».

 

 

Il corrispondente misterioso: ritratto dell’io

Insomma, il rapporto con il proprio io sembra costituire motivo strutturale (pur certamente non esclusivo) di questi testi, variamente declinato ma tuttavia sempre anticipato da un’introduzione di carattere generale che si sviluppa su due moduli. Il primo propone un’associazione di idee tra la riflessione del narratore (ora omodiegetico ora eterodiegetico) e l’episodio via via messo a fuoco. Si pensi all’esordio di Après la 8e symphonie de Beethoven (p. 91):

«Sentiamo talvolta la bellezza di una donna, la gentilezza o la singolarità di un uomo, la generosità di una circostanza, prometterci la Grazia. Ma ben presto la mente intuisce che quelle promesse deliziose, l’essere che le ha fatte non fu mai in grado di mantenerle […]. Una sera io mi sono fatto ingannare dei vostri occhi, dalla vostra andatura, dalla vostra voce».

Il secondo si configura invece quale incipit in medias res, come nell’apologo sul memento mori intitolato Pauline de S. (p. 35): «Appresi […] che la mia vecchia amica Pauline […], da tempo malata di cancro, non avrebbe superato l’anno».

Già solo questa rapida rassegna rivela sottotraccia il ritratto di un autore tormentato, restituito da Proust attraverso quelle numerose variazioni sul tema che di lui assemblano una «biografia psicologica» (L. Fraisse, Introduzione a M. Proust, Il corrispondente misterioso, Garzanti, 2021, pp. 9-25: 15). La presenza ricorrente, quasi ossessiva, di tale motivo è anzi stata additata dalla letteratura critica (e ribadita nel corso del recente Convegno Internazionale organizzato a cent’anni dalla morte) come una delle ragioni alla base della consapevole esclusione di questi testi dalla raccolta originaria; lo scrittore avrebbe cioè così scansato «il rischio di un’eccessiva messa a nudo della propria intimità», come ricordato da Ilaria Vidotto nei «Quaderni Proustiani».

Cionondimeno i nuclei narrativi, i quadri e i bozzetti caratteriali alla base di questi frammenti veicolano un messaggio ben lontano dalla resa; malgrado i toni più malinconici e talora persino cupi di cui ciascun frammento è pervaso, infatti, il narratore riesce sempre a «esprimere la meraviglia di fronte alla bellezza, lo spessore di vita che racchiudono il mistero, l’enigma da risolvere e la ricchezza inalienabile che ognuno possiede e che è l’esplorazione del proprio mondo interiore e […] alternativa alla disperazione» (p. 25).

 

 

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Nel testo riproduzioni della copertina di M. Proust, Il corrispondente misterioso (Garzanti, 2021); di A. Watteau, L’Indifférent (1717, Louvre), cui spesso l’omonimo racconto di Proust è stato posto in relazione; di D. Klöcker Ehrenstrahl, Scoiattolo bianco nel paesaggio (1698, Museo Nazionale di Stoccolma) e di V. Oakley, Study of a Squirrel (ca. 1933, Pennsylvania Academy of the Fine Arts).

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