“Il regno di Op” di Paola Natalicchio

di / 19 agosto 2013

Titolo: Il regno di Op. Personaggi principali: Angelo (figlio); Paola (madre); Marco (padre); il drago (se stesso). Altri interpreti: Michela, Martina, Astrid, Bernardo e altri abitanti del Regno.

La favola di Paola Natalicchio inizia come tutte le altre. Irripetibile e identica, appesa al soffitto dei progetti importanti, da far asciugare col sole che ammicca. Un bimbo che nasce, che sparge pianti e pannolini, circondato da un corteo di carezze e ninne nanne. Un bimbo da allattare di sogni solubili, da misurare sul muro quasi ogni giorno. Perché ogni centimetro aspetta il suo rito.

Finché appunto non arriva il drago. Che stavolta non si vede, perché ha scelto di nascondersi.Si è accovacciato nella pancia del piccolo, che ancora non sa di essere un eroe. La vicenda si complica e come in tutte le favole degne di un finale e di un lettore che lo sfiori, serve un viaggio salvifico, un’avventura per soffiare contro il male. Bisogna partire, armarsi di trapunte, giocattoli e pazienza. E imbrattarsi le gambe, conoscere davvero il regno di Op.

Lo fa Angelo, che a due mesi deve già combattere. Lo fa con suo padre Marco e con sua madre, Paola Natalicchio, giornalista che da un momento all’altro viene sbalzata dalla sua macchina in corsa. Dalla sua vita normale, di lavoro e vacanze, di scadenze e lavatrici, di poppate e pentolini. Il Regno la risucchia, spalanca quegli odori che non vorrebbe mai raccogliere. Maper i mesi a venire sarà la forma più prossima a una casa.

Il nome completo del Regno graffia gli occhi e sgonfia il cuore: oncologia pediatrica. Quel perimetro sterile dove si disinfettano anche i sorrisi, dove scivolano altri bambini che non chiedevano altro se non di essere tali. Ma il copione aveva in mente altre battute per loro. Scenari che non fossero asili, palestre o lavagne sberciate. Questo plotone di cuccioli si ritrova ammantato di lenzuola canforate, risonanze, termometri, foreste di flebo e betadine, pianeti sospesi a un metro dal mondo dove i silenzi non sono mai convinti, dove qualche allarme può spuntare da un istante all’altro, a rammentare che dentro al Regno bisogna stare sempre attenti, non adagiarsi mai.

Poi certo, ci sono anche i buoni, perché la missione richiede alleati. Carovane di medici e infermieri che riempiono di dolci le calze accanto ai letti quando la Befana è troppo impegnata a trafficare tra i comignoli di tutte le altre infanzie. Personale medico che diluisce i pomeriggi con camomilla e biscotti, che non si scorda di giocare perché essere bambini è più importante che essere malati ed è il solo davanzale su cui spira un po’ di vento. E allora, se dopo la chemio il palato è una lastra di marmo, se anche il gusto si è avvizzito, allora vanno bene le patatine fritte, gli hamburger o i pan di stelle, qualunque freccia riesca a perforare tutto quel ghiaccio che dorme.

C’è chi dal Regno esce vittorioso: come Astrid che torna a camminare. Come Angelo che ricomincia a crescere senza un mostro nello stomaco. E c’è chi come Bernardo salirà più in alto per sorvegliare gli altri.

La morale più forte, quella che essicca tutte le lacrime, è che il 70% dei piccoli pazienti oncologici riesce a guarire. E che il 90% delle leucemie è attualmente curabile. Che quel limbo igienizzato spessoè un bosco di passaggio che confina col futuro.

Diario intenso e dolente, essenziale e necessario, scritto col desiderio di documentare un’esperienza non solo intima, ma anche collettiva. Il dramma di famiglie sul filo di un assegno, costrette a trasferte ingombranti, ad agonie al quadrato senza il minimo sostegno.

Vegetazioni in penombra di una vita che vogliamo sotterrare, tra palate di iPhone e finto benessere. Che però indossa la nostra stessa taglia. Leggerlo non servirà a incenerire il drago. Ma chi dovrà affrontarlo non dovrà sentirsi solo.


(Paola Natalicchio, Il regno di Op, Einaudi, 2013, pp. 158, euro 15)

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