Roma sottosopra, fra l’esoterico e lo scatologico

Su “Remoria” di Valerio Mattioli

di / 14 settembre 2019

Copertina di Remoria di Valerio Mattioli

Valerio Mattioli è musicista, critico e agent provocateur della controcultura romana. Da anni opera come divulgatore e narratore di istanze estranee alla cultura italiana, introducendo nuovi termini e autori nel dibattito nostrano. Uno sguardo d’insieme cinico e originale che ha nella collana Not l’incarnazione più ambiziosa. Parallelamente il nostro si fa storico della cultura italiana del secondo Novecento, traducendo la critica musicale in affresco socio-filosofico, è il caso di Superonnda. Storia segreta della musica italiana e anche del recentissimo Remoria (minimum fax, 2019), in cui però la controcultura è solo uno dei vettori adoperati per condurre un’indagine massimalista, fra l’esoterico e lo scatologico, sulla città di Roma.

Remoria è la città nata dal rovesciamento del mito fondativo di Roma, una città ombra, fantasma, decentrata, in cui si rovesciano i rapporti di forza della città ufficiale. L’autore la definisce «una sorta di antitopia, di città che nega se stessa e così facendo inverte non solo il corso della storia, ma i significati che a quella storia hanno dato forma». Remoria è una città irreale eppure concreta, si manifesta nelle distese di case condonate, nei quartieri funestati dal dubbio gusto dell’edilizia popolare, nel groviglio di strade e sopraelevate, nei cumuli di monnezza venerati come idoli della periferia, fra i campi rom e le baracche di lamiera. Mattioli chiama questo sistema complesso «borgatasfera», l’intersezione fra le borgate romane e le diverse zone grigie nell’urbanistica della città, crasi di inorganico – cemento, amianto, legno – e organico – la variegata umanità che abita la borgatasfera.

Per raccontare Remoria l’autore si fa cantore dei suoi luoghi più rappresentativi: dal GRA come magnete e spina dorsale della borgatasfera, all’Ostia sottratta al mito di Pasolini e restituita ai tossici di Caligari, passando per la Centocelle dalle spinte eversive goth-punk, e poi ancora il Forte Prenestino e le occupazioni, la stagione dei rave con i vari luoghi di ritrovo e i propri eroi – da Freddy K a Lory D –, lo spirito utopico delle fanzine autoprodotte, fino alle potenzialità ancora insondate dei campi rom. La ricerca di Mattioli ibrida la profondità interpretativa di Simon Reynolds al pathos emotivo di marca fisheriana. Ne viene fuori una sorta di Cyclonopedia nostrana in cui sono sismografate le mutazioni della controcultura in borgata, dal proletariato giovanile fricchettone e comunista degli anni Settanta, all’irrompere del punk, dell’estetica goth, e poi ancora delle istanze rave. Il tutto irrorato, ovviamente, dalle droghe predilette in ciascuna stagione.

Il posto d’onore va però al coatto, «l’uber-predatore» prodotto genuino di Remoria, riletto secondo la lezione cyberpunk di Ranxerox. La figura del coatto è la chiave di volta dell’architettura di Remoria, perché si fa incubatore vivente delle contraddizioni del capitalismo urbano, e solo l’attraversamento materico – al di fuori di tanto elitismo che lo percepisce come biasimevole perché illetterato – del paesaggio psicologico del coatto può liberare le potenzialità inespresse della borgata.

In questo senso Remoria si pone come opera in grado di dialogare con Energy flash di Reynolds e Spettri della mia vita di Fisher. Dal primo riprende l’ambizione di delineare l’hardcore continuum borgataro – inteso come storia clandestina della controcultura di periferia – che potremmo tranquillamente definire “coatto continuum”. Dal secondo riprende e rovescia il discorso hauntologico: se Fisher indaga i fantasmi dei futuri abortiti mai realizzatisi, qui l’autore ragiona sulle possibilità eversive degli aborti presenti.

Valerio Mattioli non ha paura di peccare di hybris constatando lo scontro centro-periferia, per alcuni troppo semplicistico, ma nella vita di tutti i giorni vettore reale delle pratiche di controllo sociale del potere capitalista. Remoria è allo stesso tempo diario affettivo dei feticci di borgata e manuale di demonologia per il turbo proletariato contemporaneo. Un testo scaleno che riunisce i materiali più disparati e li organizza in una sostanziosa critica del presente, ottimo per disinnescare l’ideologia della gentrificazione (senza aspettare che la bolla speculativa scoppi) e la retorica del decoro. Mattioli ci dimostra che sotto quel cappellino pulsano bizzarri e preziosi ingranaggi, contraddittori come le potenze che scuotono Remoria.

(Valerio Mattioli, Remoria, minimum fax, 2019, pp. 283, 17 euro, articolo di Giovanni Bitetto)
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LA CRITICA

Un racconto esoterico della borgata che cartografa ogni possibilità eversiva all’interno della città-ombra.

VOTO

8/10

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