Enigma The Suburbs
Il terzo album degli Arcade Fire
di Luigi Ippoliti / 28 maggio 2020
Quasi dieci anni di The Suburbs. Quasi perché il 27 maggio del 2010 gli Arcade Fire annunciavano l’uscita del loro terzo album, che sarebbe stata il successivo 2 agosto. Già fino a quel momento, la band di Win Butler era sicuramente uno dei gruppi più importanti e dal potenziale più alto nel panorama mondiale. Con The Suburbs il salto in avanti, a livello di immagine e di vendite, è notevole e decisivo.
In un’epoca dove già si stava intravedendo il declino dell’indie rock (Strokes, per esempio), dove il rock si trovava in una fase di continua riflessione su sé stesso, con molte domande e pochissime risposte (i National), un gruppo come gli Arcade Fire era riuscito a trovarsi un posto completamente suo, andando a ridisegnare e a reinterpretare certi stilemi classici del pop/rock.
The Suburbs è un album labirintico, non facilotto come sommariamente spesso viene narrato, che si pone da dieci anni la stessa domanda. È davvero il loro album più fruibile? Perché già allora, ma anche oggi, ci sono diversi aspetti che potrebbero non relegare The Suburbs come album più accessibile, o più pop, degli Arcade Fire. Ponte tra la prima fase degli Arcade Fire (Funeral e Neon Bible) e la seconda (The Reflektor e Everything Now), il terzo album della band canadese è il pass verso il successo indiscusso transnazionale, ma non per un suo essere intrinsecamente – musicalmente – più immediato.
Potrebbe semplicemente essere stato frainteso il fatto che The Suburbs, visto l’enorme seguito commerciale che ha avuto, fosse anche quello strutturalmente più semplice. Il classico gioco del mainstream come cosa facile in automatico. Perché a riascoltarlo, le cose non sono così chiare da sintetizzare. Funeral, certamente uno degli album di punta degli anni ’00, è un lavoro molto più fruibile di The Suburbs. Detta così suona come una sorta di bestemmia, perché la storiografia vuole Funeral su un altro livello. Ma Funeral è un album rapido e super agile. Funeral, però, chiaramente, non ha nessun Funeral alle sue spalle. I brani di The Suburbs, che hanno un Funeral e pure un Neon Bible alle loro spalle, invece, andandoli ad ascoltare uno dopo l’altro, hanno bisogno di uno sforzo maggiore per essere letti e metabolizzati.
La sensazione che si ha è che l’enorme successo, non solo di critica, ma anche e soprattutto di pubblico sia stato, dunque, un passaggio inevitabile. Era un po’ segnato il suo destino, a essere fatalisti. Funeral e Neon Bible avevano generato un tensione tale che, azzeccando il successore, avrebbe portato a un successo più che scontato.
La grandezza degli Arcade Fire, poi, ricordiamolo, non deriva esclusivamente dalla produzione di album, ma anche dalle loro performance dal vivo, che concerto dopo concerto hanno acquisito sempre di più un’aura mitologica che negli ultimi anni ha davvero pochissimi eguali. Sarà per l’enorme carisma di Win Butler, per il fatto che siano tantissimi sul palco e sembrino uno spettacolo teatrale coordinato da un Mangiafuoco hipster, per la bravura di Régine Chassagne, o per chissà quale altro motivo: un live degli Arcade Fire è una delle esperienze imprescindibili che hanno a che fare con la musica pop degli ultimi vent’anni.
Già il numero di tracce di The Suburbs, sedici, sono un primo campanello d’allarme: alla lunga, la sensazione che quest’album produce non è quella di lasciarsi ascoltare senza problemi, anzi. Di scorrere come il più fluido degli album pop.
È vero, The Suburbs ha diversi episodi instant classic da manuale. Due su tutti: l’omonimo “The Suburbs” e “Ready To Go“. Ma sono brani immagine che gli Arcade Fire hanno sempre avuto nei loro lavori: prendiamo anche solo “Rebellion (Lies)” (Lilli Gruber potrebbe dirci qualcosa) da Funeral e “Keep The Car Running” da Neon Bible. Bastano questi due rendere l’idea di come questo genere di brani sia parte fondante e colonna vertebrale degli Arcade Fire. Quindi nulla di nuovo. Anzi, a rileggerle oggi, i due di The Suburbs sembrano ancora meno immediati, più complessi.
The Suburbs in alcuni momenti è anche stancante, solo apparentemente semplice. Nasconde delle ruvidità, delle incrinature, che lo rendono un percorso più arduo rispetto a quanto eravamo abituati nel pre The Suburbs: possiamo dire che quest’album abbia delle imperfezioni, sì, certamente, ma sono queste imperfezioni che lo rendono così affascinante e potente.
Lo statuto di grande band sarà poi consolidato in maniera definitiva con il successivo The Reflektor, probabilmente la loro opera più matura, stratificata e interessante. Per poi soccombere direttamente alla loro grandezza con il mezzo passo falso di Everything Now . Ma con The Suburbs, gli Arcade Fire sono gli Arcade Fire.
Quella di The Suburbs come album più facile degli Arcade Fire è una storia che non convince. Il terzo album dei canadesi è un grande album imperfetto, che è stato necessario per arrivare a scrivere The Reflektor, ovvero un album da podio degli anni ’10. Riascoltare oggi The Suburbs è ancora più importante di dieci anni fa.
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