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Parola di bugiardo: i racconti “inaffidabili” di Saša Stanišić

“Trappole e imboscate” di Saša Stanišić

di Martin Hofer / 28 settembre

Raccapezzarsi nel crocevia che è questo Trappole e imboscate (L’Orma editore, 2020) non è operazione semplice. Come promesso dal titolo, i racconti di Stanišić – padre serbo, madre bosniaca, lingua adottiva tedesca – sono disseminati di esche e illusioni, giochi di specchi e false piste già a partire dall’impalcatura instabile della raccolta, che prevede la costruzione di situazioni autoconclusive, personaggi ricorrenti (le avventure di una donna senza nome e del suo amico kosovaro Mo), racconti a puntate (lo scambio di persona in tre atti che vede coinvolto il manager Georg Horvath) e perfino di un romanzo breve suddiviso in ancor più brevi capitoli (“Trappole”, la vicenda di un tenditrappole “pifferaio” di animali che ricorda, in versione più spensierata, il Satantango di Krasznahorkai).

Operazione non semplice, si diceva, perché non semplice è stare al passo di Stanišić, da parte sua assai poco interessato ad assecondare il lettore e anzi, probabilmente intrigato dall’idea di farlo girare su se stesso a ritmi vorticosi.

Le voci narranti di questi dodici racconti (ma sono davvero dodici?) si rivelano nella maggior parte dei casi inaffidabili, se non addirittura truffaldine. Qual è il loro nome? Chi sono veramente? Che cosa ci nascondono? Inutile stare troppo a rimuginarci, le informazioni non saranno mai sufficienti a dare risposte che l’autore, candidamente, ci vuole negare. Come in una geometria escheriana non resta che accogliere il paradosso, accettare l’incongruenza, la parzialità, e persino l’assurdo.

Nella sorprendente versatilità della scrittura di Stanišić convivono (o forse si azzuffano?) le stratificazioni culturali e identitarie del suo vissuto, al punto che, come unico legame, i racconti di Trappole e imboscate sembrano avere quello dello sconfinamento, geografico (Germania, Bosnia, Brasile, Svezia, Francia), stilistico (in “Georg Horvath è di malumore” risuona il jet-lag esistenziale dei racconti di David Szalay, in “Trappole” gli stilemi della leggenda popolare centro-europea, nel poetico “In queste acque affonda ogni cosa” un realismo magico che guarisce dal trauma con l’incanto), strutturale (storie che danno origine ad altre storie, vicende “a vasi comunicanti”, personaggi che escono di scena in un finale per rientrare da un altro incipit).

Tra un cinghiale che fa la spesa al supermercato e una tortora a bordo di una Peugeot si aprono di tanto in tanto alcuni spazi per il “drammaticamente reale” – la guerra nei Balcani e in Siria, i rifugiati – con risultati a dir poco grotteschi. L’immigrazione, in particolare, viene più volte osservata tramite due punti di vista contrastanti: dall’alto il tentativo di integrazione posticcia, dal basso il disprezzo nei confronti dello straniero.

«E poiché i rifugiati non dovevano solo starsene seduti in casa, ma anche integrarsi, l’Associazione per la preservazione della Storia li scarrozzò al campo per fargli potare gli arbusti e liberare i sentieri. Ci misero un istante, e subito dopo l’Associazione per la preservazione della Storia tenne una conferenza su sedie da campeggio accanto alla gabbietta per le taccole. Argomento: “Le relazioni con gli stranieri nel corso dei secoli”».

«A Bad Belzig era stata appena picchiata una somala incinta, e ci si chiedeva in che modo la donna potesse aver provocato le percosse».

Quando nel 2019 Stanišić si aggiudicò il Deutscher Buchpreis con il romanzo Herkunft, la giuria sottolineò giustamente nelle motivazioni la capacità dell’autore di sollecitare «i lettori, liberandoli dalle convenzioni della cronologia, del realismo e dell’univocità formale», anche se, a onor del vero, il gusto per la divagazione e l’insistente ricerca di uno humour strampalato non consentono, a tratti, di entrare dentro questi racconti, è come se si rimanesse sempre sulla soglia, indecisi se partecipare a uno spettacolo al quale non si è sicuri di essere stati invitati.

Un’incertezza che non combacia certo con l’indifferenza, perché impossibile è rimanere indifferenti di fronte alla destrezza di un narratore impegnato in un continuo processo di reinvenzione e ridefinizione della sua realtà. Come dice uno dei suoi personaggi: «Se è buono, anche un bugiardo merita rispetto».

 

(Saša Stanišić, Trappole e imboscate, trad. di Giovanna Agabio, L’orma editore, 2020, 256 pp., euro 18, articolo di Martin Hofer)